Si è svolta stamane una visita istituzionale al Museo preistorico dei Balzi Rossi, nell’ambito delle cerimonie per il centenario di Alberto I di Monaco, che acquistò una grotta che ancora oggi porta il suo nome: la “Grotta del Principe“.
Considerato uno dei luoghi più importanti per lo studio della preistoria in Europa, il sito dei Balzi Rossi è fondamentale anche per comprendere come gli uomini nell’antichità si adattarono ai cambiamenti climatici. La “scoperta” di questa zona archeologica è avvenuta negli ultimi decenni dell’Ottocento, poco prima degli scavi per la linea ferroviaria Genova-Ventimiglia. È il momento storico durante il quale il mondo si interroga sull’antichità dell’uomo e sulla durata dei periodi più antichi della preistoria: anche per questo motivo le grotte dei Balzi Rossi divennero famose. Gli scavi presso la zona archeologica continuano, condotti da diverse équipe di archeologi a livello internazionale.
L’incontro di oggi, organizzato dal professor Henry de Lumley, presidente dell’Institut de paléontologie humaine (IPH) e appassionato studioso del sito dei Balzi Rossi, ha riunito presso le grotte un gruppo di studiosi e di autorità per visitare le grotte e commemorare l’attività del Principe Alberto I come appassionato archeologo e promotore di un moderno metodo scientifico.
Le prime ricerche archeologiche sistematiche, dopo i primi saggi effettuati da Emile Rivière, si devono infatti al Principe Alberto I di Monaco che nel 1882-83 si accordò con il proprietario dell’area per far precedere i lavori di cava da scavi archeologici. Con la collaborazione di G. Saige, conservatore degli archivi di palazzo del Principato di Monaco, il Principe fece riprendere gli scavi secondo principi stratigrafici, attraversando la parte centrale del deposito della Barma Grande e poi saggiando per la prima volta il deposito della grotta del Principe.
Nel 1895 Alberto I di Monaco acquistò infatti una delle grotte, la Barma del Ponte, da allora chiamata “Grotta del Principe” e incaricò il canonico Leonce de Villeneuve di avviare le ricerche secondo un metodo scientifico che lui voleva sperimentare. In un suo scritto infatti sosteneva: «Perché uno scavo sia utile alla scienza la prima condizione è che il ricercatore conosca la stratificazione del giacimento che esplora. Gli strati di un deposito sono come i fogli di un libro, i fossili e gli utensili come le illustrazioni». Questo approccio, rivolto a introdurre un metodo scientifico nelle attività di scavo archeologico, ha consentito di raccogliere una serie di dati e informazioni ancora oggi preziose per la conoscenza del sito.