Non esiste un’etimologia certa del toponimo Ceva, ma varie ipotesi promulgate da diversi autori. Una delle più accreditate è avanzata da Padre Arcangelo Ferro, autore di Ceva e la sua zona, il quale indica una tribù di Liguri di nome Çabates o Cebates che, proveniente dalla Provenza, intorno al 2000 a.C. avrebbe fondato (o dato il nome) alla località che oggi chiamiamo Ceva, con il nome di Ceba.
Altri autori sostengono che il termine Ceba derivi da una particolare razza bovina autoctona della zona in tempi antichi, oppure dalla voce pre-indoeuropea kaiva-i-s, con significato originale di recinto, accampamento, luogo abitato, divenuto successivamente borgo, città, capoluogo.
Ultima ipotesi, indicata nel cosiddetto Manoscritto di Don Parola, identifica nel cognome del console romano Junius Brutus Scaeva l’origine del termine Ceva. Questo console, assieme a Quintus Fabius Gurges, pare fosse stato incaricato nel 292 a.C. dalla Repubblica romana di fondare una colonia per arginare le possibili incursioni dei Galli transalpini. In ogni caso, l’antico toponimo Ceba è rimasto nel nome della popolazione cittadina, i cebani. (Nome preceduto da cevani, sostituito da quello attuale durante il periodo fascista per rimarcare la romanità della popolazione).
Fra la fine del III millennio a.C. e l’inizio del II millennio a.C. le popolazioni iberico-liguri provenienti dalla vicina Provenza penetrarono nel nord Italia, stanziandosi e fondando innumerevoli villaggi ed insediamenti.
Durante la dominazione romana, Ceva era ascritta alla tribù Publilia. Il suo riconoscimento come municipio è dibattuto siccome viene indicato solo nel testo del Ferro[13] e non in altri autori.
Durante il travagliato periodo delle invasioni barbariche Ceva, come tutta la regione circostante, fu soggetta a scorrerie, saccheggi e spopolamento, tanto da far definire in alcuni documenti la zona come Deserta Langarum: landa, regione deserta.
Nel medioevo Ceva conobbe un nuovo periodo di prosperità. Divenne capitale di un marchesato aleramico, fondato da Anselmo II, figlio di Bonifacio del Vasto ed originato dalla suddivisione di un dominio più vasto fra i vari figli dello stesso Bonifacio. Il marchesato ebbe i momenti più floridi nel corso del XII secolo, acquistando grande influenza e prestigio presso le corti regionali italiane[13]. Il marchesato di Ceva parteggiò per i ghibellini, ma passò talvolta alla fazione opposta.
In questo periodo venne coniata moneta cebana, venendo istituita la zecca nell’antico palazzo municipale, vennero costruiti raffinati palazzi nobiliari, edifici pubblici ed anche un carcere cittadino, sul quale verrà, nel XIX secolo, costruito il teatro civico. Venne anche cinta da mura difensive (alcuni resti sono ancora ben visibili) e vennero costruite otto porte di accesso.[13] Il centro urbano venne a crearsi con una regolare disposizione di vie perpendicolari fra loro, pianta che si riflette ancora oggi nella morfologia delle vie cittadine.
Dopo una devastante guerra per il potere sul marchesato fra Guglielmo IV e suo fratello Giorgio II Nano, Ceva nel 1296 passò sotto la signoria di Asti (con il marchese Giorgio II come faudatario), perdendo per sempre la sua indipendenza. Dopo Asti, Ceva passò sotto le signorie dei marchesi del Monferrato, dei Visconti di Milano, dei duchi di Orleans ed infine, nel 1535, dei Savoia[13]. Con l’arrivo dei Savoia ebbe anche termine la dinastia aleramica dei marchesi, venendo essa sostituita da quella dei Pallavicino. Di questa famiglia fu capostipite Giulio Cesare Pallavicino, primo ad essere nominato governatore di Ceva e ottenere il titolo di marchese, che trasmise alla sua discendenza. Oltre ai Pallavicino furono feudatari di questo castello i Bassi, i Blengini, i Derossi, i Filippone, i Morozzo di Magliano, i Massimini, i Mochia, gli Orta-Gagliardi, i Vaschi e i della Chiesa d’Isasca.[14]
Carlo Emanuele II, con decreto del 1651, nominò Ceva capoluogo di una provincia composta da quarantuno comuni; nel 1773 venne insignita del titolo di città.[6]
Pietro Giannone, dal dicembre 1738 al 1744, fu tenuto prigioniero nella fortezza della città, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi.
Durante la campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte Ceva rischiò di essere teatro di battaglie: vi era, sulla rocca che sovrasta la città, un’importante fortificazione (la cui prima edificazione risale al XVI secolo) dotata di artiglierie che, stando alle cronache dell’epoca, costituiva una spina nel fianco nella strategia napoleonica. Si prevedeva che la fortezza dovesse essere assediata e che la città dovesse subirne le conseguenze, ma la rapida avanzata francese da meridione fece sì che il forte venisse abbandonato dalla sua guarnigione, nel tentativo di ricongiungersi con il resto delle armate piemontesi ed austriache (Battaglia di Ceva). Nel 1800 il forte venne raso al suolo per ordine diretto di Napoleone.[15]
Durante il XIX secolo, Ceva divenne un importante snodo ferroviario sulla linea diretta tra Torino e Savona. V’è la biforcazione per l’Alta Val Tanaro (il progetto era di arrivare nella Liguria di ponente), ma la linea si fermò ad Ormea. Questo sistema ferroviario, le permise di dotarsi di un discreto apparato industriale. Notevole sviluppo ebbe, l’industria tessile, con l’allevamento del baco da seta e la relativa produzione di filati. Ad oggi non resta nulla di quelle produzioni, a parte il toponimo filatoio rimasto a designare il quartiere ove un tempo si trovavano le officine dedite a questo genere di produzione.
Durante la seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre, Ceva fu sede di un comando tedesco, che in associazione con i fascisti della repubblica di Salò, rastrellarono vari Cittadini Cebani, costringendoli ai lavori forzati in Austria e Germania come schiavi di hitler. La presenza di quel comando nazista, portò ad alcuni bombardamenti tattici da parte delle aviazioni britannica e statunitense. Episodio notevole fu l’attacco della presunta sede del comando germanico, che secondo le informazioni in mano agli Alleati si trovava in una chiesa a pianta circolare sovrastata da una cupola. L’attacco aereo colpì la chiesa di San Bernardino, che effettivamente presentava una pianta simile. La sede del comando però si trovava nella cappella adiacente al Castello Rosso, antica dimora dei marchesi, così l’edificio rimase intatto.
La città è suddivisa nei seguenti rioni:
- Borgo soprano: è il cuore cittadino, ricco di palazzi antichi e signorili, è definito soprano perché sorge sollevato rispetto ai fiumi che attraversano la città. Strada maestra è Via Carlo Marenco, bella via rinascimentale affiancata da entrambi i lati da portici sotto i quali si trovano tuttora molti esercizi commerciali, di cui diversi utilizzano ancora le antiche e ben conservate vetrine ed infissi in legno. Altra via degna di nota è Via Roma, presso la quale si apre Piazza Vittorio Emanuele II, ove si trova anche il palazzo di città. Adiacente al centro storico è anche la contrada detta Val gelata, attuale via Derossi, la quale era la via centrale della città antica.[13]
- Borgo sottano: indicata attualmente come Corso Giuseppe Garibaldi, è l’antico quartiere del mercato. Possiede ancora i suoi caratteristici portici medievali che si affacciavano su una piazza, trasformata col tempo in un largo viale alberato.
- Borgo San Francesco: costruito alla base della Rocca del Forte, sulla sponda sinistra del Torrente Cevetta, ospita due edifici di pregio: l’ex Regio Collegio-Convitto, ora sede delle Scuole Medie Statali “Attilio Momigliano“, e l’ex convento Francescano soppresso da Napoleone, prima sede dell’ospedale cittadino, ora sede di ambulatori e uffici dell’Asl. Sulla lunetta dell’antico portale, ora murato, si può ancora vedere un affresco di Rufino d’Alessandria, che rappresenta la Madonna che allatta il Bambino affiancata da due Santi. Vi si trova anche Piazza Vittorio Veneto, la quale ospita l’ala coperta del mercato.
- Borgo Torretta;
- Borgo della Luna;
- (da wikipedia)
Il legame con i Grimaldi di Monaco
Il Casato nel 1390 si diramò con Gherardo, figlio secondogenito del marchese Oddo di Ceva, in Genova dove nel 1528 fu aggregato all’Albergo Grimaldi; da allora tutti i discendenti aggiunsero al proprio il cognome Grimaldi.
Nel 1545 Cristoforo Ceva Grimaldi († 1591) passò a Napoli, ove i discendenti furono ascrittì fuori Piazza(1) e nel il 4 settembre 1793 furono aggregati al Real Monte di Manso(2), istituzione benefica con lo scopo di assicurare gratuitamente un’istruzione elevata ai figli delle famiglie patrizie napoletane e a quelle nobili aggregate come Montiste.
Detto Cristoforo nel 1566 comprò da Giovanni di Capua, conte di Altavilla, per la somma di 20.000 ducati la terra di Pietracatella, all’epoca in Terra di Capitanata, a pochi chilometri da Campobasso, insieme coi feudi di Caziello e Pisciariello; nel 1574 comprò dalla Regia Corte la portolania della medesima terra(3); nel 1575 acquistò i feudi di Solopaca e Telese, entrambi in Terra di Lavoro.
Giovan Francesco Ceva Grimaldi (Pietracatella, 1559 † 1618), fu creato da Filippo III nel 1606, 1° marchese di Pietracatella; sposò Vittoria del Balzo, figlia di Marcantonio barone di Santa Croce e Casalvatico
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Comune di Ceva