Situata alla sinistra del torrente Marro su una terrazza nell’angolo sud-est della Piana di Gioia Tauro Terranova Sappo Minulio si trova tra Taurianova e Varapodio; l’altitudine del territorio varia in modo consistente dai 109 a i 325 metri sul livello del mare, l’escursione altimetrica complessiva risulta essere pari quindi a 216 metri.
Il nome del borgo variò con il tempo da rocca di San Martino, San Martino al monte, Castrum Sancti Martini seu Terra Nova, Terranova di San Martino fino ad assumere il solo Terranova, talvolta accompagnato con “di Calabria” per distinguerla dalla Terranova di Sicilia, diventata poi Gela. Il suffisso Sappo Minulio, che fu aggiunto con delibera comunale del 22 gennaio 1864[3], deriva dalla congettura del sacerdote locale Paolo Gualtieri (1582-1655) secondo cui il paese avrebbe occupato il sito di un’antica città greca denominata Sappo Minuli.[4]
Dalla Fondazione al secolo XVI
Terranova, a quanto risulta dai documenti disponibili, fu con tutta probabilità fondata durante il periodo svevo e più precisamente durante il regno di Manfredi quale luogo fortificato nella Piana di San Martino, meglio nota come Piana di Gioia Tauro, e popolata con coloni provenienti dalla stessa San Martino, frazione del comune di Taurianova. Nel 1276 la cittadina contava all’incirca 780 abitanti, risultando già uno dei maggiori centri della Piana, e versava alla colletta la somma di 9.396 grana. Nel 1269–70 il re Carlo I d’Angiò ordinava di ripararne il castello, con tutta probabilità danneggiato da attacchi nemici. Nel 1283 il re stesso risulta presente presso il castello; nello stesso anno la rocca fu usata, temporaneamente, come carcere per i prigionieri provenienti da Gerace che era stata riconquistata. Nel 1305 viene elevata al rango di capoluogo di contea con primo feudatario l’ammiraglio Ruggero di Lauria. Nel 1310 risulta vi fossero due religiosi presso la cittadina, cifra che arriva a 15 nel 1325 e a 21 l’anno successivo. Nel 1354 vi viene fondato un convento di Celestini. Nel 1365 il feudo di Terranova passa a Ruggero II Sanseverino quindi al figlio Roberto I (1364-1391) e poi al nipote di quest’ultimo Enrico, arrestato per debiti e poi decapitato in quanto coinvolto in una congiura. La contea fu quindi data in feudo a Battista Caracciolo come ricompensa per averne scacciato gli aragonesi. Tornate le terre alla corona in conseguenza della ribellione del Caracciolo furono date da Alfonso d’Aragona a Carlo Ruffo conte di Sinopoli. Restituita la contea successivamente al Caracciolo questa fu ereditata dal nipote Tommaso che fu incarcerato perché coinvolto nella congiura di Antonio Centelles. Le terre passarono quindi nel 1458 a Marino Correale[6] e dopo la sua morte furono date come ricompensa, il 12 aprile 1502, a Consalvo di Cordova. In questo periodo Terranova fu coinvolta nelle guerre franco-spagnole per il dominio sul regno di Napoli e per lo meno qualche scontro collegato alla battaglia di Seminara del 1495 e quella del 1503 si svolse nelle sue vicinanze.
L’apogeo
All’inizio del Cinquecento a Terranova fu attribuito il titolo di “città”, ben meritato visto che Terranova nel 1532 contava tra i 4.800 e i 6.000 abitanti; inoltre nella relazione del Barrio del 1571 Terranova è descritta come una cittadina eminente, sia riguardo alle risorse naturali – caccia e pesca – ma anche per le coltivazioni. Nel 1545 la popolazione si aggirava tra i 7000/9000 abitanti che diventarono 9.000/12.000 nel 1561, l’anno precedente il ducato era stato comprato da Tommaso de Marinis, la città era quindi in piena crescita; a testimonianza di ciò vi è anche da dire che vi venne tenuto un concilio ecclesiastico provinciale nel 1574, che non si era potuto tenere a Reggio per via di una scorreria barbaresca. Nello stesso anno il ducato di Terranova fu comprato per 20.000 ducati da Battista Grimaldi. Si può ritenere che all’incirca questo sia stato il periodo di maggior floridezza per il centro. Subito dopo ebbe inizio la decadenza, provocata non tanto dalle guerre quanto dalle lotte intestine e dalla rapacità del dominio spagnolo. Già nel 1590 Terranova chiede di essere esentata dal pagamento di alcune imposte, anche se era già stata amministrata per cinque anni da un “commissario di redenzione” che evidentemente non era riuscito a sanare la situazione finanziaria, ciò è testimoniato anche dal numero degli abitanti che passò, nel 1595, a 7.000/9.000 con un calo di circa 3.000 unità. Nel 1593 si ebbero nello spazio di otto giorni una serie di terremoti che danneggiarono l’abitato, inoltre la Piana era percorsa nello stesso periodo da bande di briganti che l’amministrazione spagnola era incapace di eliminare e che sicuramente influirono negativamente sulla situazione economica della cittadina.
La presenza degli ebrei
Fino al XVI secolo si trova a Terranova un grosso insediamento di ebrei, uno dei più importanti stanziamenti dell’intera Calabria (27 fuochi censiti nel registro del percettore di Calabria Ultra, contro i 12 di Oppido o i 2 di Rosarno, per esempio). Gli ebrei si dedicano soprattutto alla lavorazione della seta ed alla commercializzazione del prodotto grezzo e finito. La stessa denominazione di Giudecca, che si riscontra ancora tra i toponimi locali, lo attesta in maniera inequivocabile.
Il filosofo Bernardino Telesio e Terranova
Papa Paolo III, su sollecitazione del potente e temuto cardinale Carafa, assegna al giovane chierico Bernardino, della nobile famiglia cosentina dei Telesio, il beneficio della chiesa parrocchiale di S. Nicolò de Latinis di Terranova.
Al beneficio ecclesiastico è annessa la cura delle anime. Questa clausola fa presupporre che il giovane Bernardino Telesio in qualche modo sia stato presente a Terranova, proprio per sostanziare la completezza dell’incarico. Ben presto, comunque, Bernardino, allo scopo di dedicarsi interamente ai suoi studi in Napoli, rinuncia in favore del fratello Paolo che in data 7 maggio viene investito del beneficio. I Telesio, comunque, con diversi loro rappresentanti, hanno usufruito di benefici a Terranova[7]
Dal secolo XVII al “grande flagello”
Nel 1648 continua lo spopolamento, infatti la città denuncia una popolazione di 6.000/7.500 per 1.529 fuochi questi ultimi diventarono 1.172 nel 1666, 1.293 nel 1670 e 1.200 nel 1675; probabilmente in queste rilevazioni erano compresi anche gli abitanti dei casali sparsi nella campagna. Nel 1693 l’abate Giovan Battista Pacichelli di passaggio a Terranova dichiarò di aver trovato la città “col suo forte castello quasi distrutta” segno questo che oltre allo spopolamento anche lo stato materiale di Terranova deperiva. Dalle relationes ad Limina dei vescovi risultano 1.200 abitanti per il 1699 e 1.100 per il 1702 e il 1705. Negli anni successivi vi fu un certo ripopolamento, dovuto probabilmente al trasferimento di gente dai casali vicini anch’essi in decadenza. A meta del secolo XVI vi fu un forte intervento del vescovo mons. Mandarani per moralizzare i costumi del paese, battaglia che fu vinta dopo duri scontri tra il porporato e i maggiorenti della cittadina. Nel 1768 giunse a Terranova l’idrologo lucchese Giovanni Attilio Arnolfini incaricato dalla principessa Grimaldi di visitare i suoi feudi. Ospitato dai Celestini ecco qui un passo della sua relazione:
Come si può evincere Terranova era in fase di declino anche a causa delle persone che preferivano trasferirsi in centri all’epoca in pieno sviluppo quali Gioia, Radicena e Casalnuovo (ora Cittanova). In effetti nel periodo del viaggio dell’Arnolfini vi sono relazioni riguardo ad abitazioni in stato di incuria e pericolanti per via dei terremoti. Nel 1772 il vescovo dichiara che la popolazione è di 1.145 persone.
Il “Melos concinendum… recurrente festivitate inventionis S. Crucis” (1754)
Il 3 maggio 1754, in occasione dei consueti festeggiamenti annuali in onore del SS. Crocifisso, viene cantata per la prima volta, dalla locale “Schola cantorum”, all’interno della chiesa del SS. Crocifisso, una melodia composta da Giuseppe Antonio Barba, in quel periodo a Terranova quale Maestro di Cappella. Il testo della composizione pervenuto a noi, sia in copia manoscritta posteriore (1858) che attraverso una pubblicazione datata 1879 per i tipi dello Stab. Tipografico “L. Ceruso” di Reggio Calabria (pubblicata assieme ad altra melodia italo-latina cantata nella stessa chiesa), è un interessante documento non soltanto di composizione sacra ma anche un esempio significativo di pietà popolare. La musica del Melos è andata dispersa. I Meloi (plurale di Melos, ma sono definiti spesso pure Trionfi) sono una sorta di oratorio e vengono cantati nelle Chiese calabresi in occasione di eccezionali ricorrenze religiose o feste da solennizzare con particolare devozione. Il Melos eseguito a Terranova nel 1754, composto interamente in latino, è strutturato in forma di dialogo nel quale interagiscono quattro personaggi solisti, due maschili e due femminili (Taurianova, ovvero Terranova, Crocifisso, Grazia, Peccato) assieme ad un gruppo vocale (Coro) supportati da un organico strumentale.
Il terremoto del 1783
Nel 1783, in conseguenza del terremoto definito da scienziati ed osservatori il flagello, l’antica Terranova riceve un colpo fatale. Il suo sito è squassato in maniera catastrofica con abitazioni spostate di 200 piedi e distruzione, in sostanza, dell’intero patrimonio edilizio con conseguente formazione di laghi di sbarramento. I danni materiali raggiungono la stima di 500.000 ducati ponendo Terranova al quinto posto dopo Reggio, Polistena, Casalnuovo (poi diventata Cittanova) e Bagnara Calabra. Ancor più grave è il numero delle vittime che ammontano a 1.452 (494 maschi, 317 femmine, 603 ragazzi, 23 monaci e 15 monache), in pratica circa il 70% della popolazione (anche se si riscontrano dati alquanto disomogenei in queste enumerazioni tra i diversi autori).
Lo spostamento in località “Canoro” e la scelta dei luoghi contigui al vecchio insediamento
Nell’immediato post-terremoto prende corpo l’idea di trasferire i sopravvissuti (che nel frattempo occupano le zone circostanti all’antico insediamento rifugiandosi, alla meglio, per ripararsi dai rigori dell’inverno) in località Canoro, tra Iatrinoli e Radicena (poi diventata Taurianova). Anzi, nel 1785 Pietro Galdo appronta una Pianta Topografica dell’edificanda nuova Città. Spunta anche l’idea di un suggestivo nome, Ferdinandina, con cui chiamare il nuovo insediamento (per ingraziarsi i favori del re). Dopo un duro braccio di ferro tra il vicario generale Francesco Pignatelli e la popolazione, che per spostarsi nel luogo individuato dalle autorità pretende una serie di privilegi, quali quello di essere direttamente sotto la podestà reale, di ricevere finanziamenti per il trasferimento con fornitura di legname per le abitazioni e varie altre agevolazioni (tutte qualificate dal vicario come “stravaganti pretensioni” e “pretensioni inette”), la contesa è vinta dai locali che riescono a far costruire il nuovo abitato nel posto da loro scelto e già occupato nelle vicinanze dell’antico sito. Nel 1788, infatti, a firma di Galdo e de’ Cosiron, viene approntata una nuova Pianta Topografica (in sostituzione della prima, quella della nuova edificazione tra Radicena e Iatrinoli) la quale prevede il nuovo insediamento nell’area odierna (esistono, di questa fase progettuale, sia la Pianta topografica della Città che la Pianta dei luoghi circostanti). Lo sviluppo del nuovo centro nei primi anni è molto problematico e lento, anche dal punto di vista demografico. Il risanamento del territorio, nel quale si trovano acquitrini e laghi formatisi dallo sbarramento di corsi d’acqua e sorgenti, impone lavori importanti di prosciugamento promossi e attuati dalla Cassa sacra, anche per debellare l’insorgere di gravi malattie epidemiche. Nel 1793 si contano a Terranova 454 abitanti.
L’Ottocento
L’invasione napoleonica, l’istituzione della repubblica napoletana, l’eversione della feudalità, il Risorgimento, l’unità d’Italia non avranno grande eco nel piccolo paese che ormai Terranova era diventato.
Il 9 agosto 1887 viene fondata una “Società Operaja di Mutuo Soccorso” costituitasi su impulso del segretario comunale Agostino Germanò (che ne viene acclamato all’unanimità Presidente) e forte di ben trenta soci fondatori, cui si aggiungeranno in seguito altri soci ordinari. La costituzione viene sancita con atto rogato dal notaio Gaetano Alessio di Vincenzo di Molochio, il quale redige anche lo Statuto composto di trentotto articoli.[8]
Il Novecento
Il Novecento (specialmente i primi quindici-venti anni del secolo) mostra un fermento nel settore dei lavori pubblici e nella realtà sociale, economica, finanziaria e della stessa qualità della vita, in genere, di Terranova e dei suoi abitanti. Vengono realizzati numerosi progetti di urbanizzazione e di opere pubbliche e contemporaneamente sono portate a termine molte commesse edilizie di privati cittadini. Funzionano in centro due farmacie-drogherie. Anche dal punto di vista demografico si riscontra un forte indice di crescita, sia per l’incremento della natalità che per il trasferimento in Terranova Sappo Minulio di nuclei familiari da altri centri (anche per motivi di lavoro). Questo trend demografico positivo, tuttavia, comincia a decrescere a partire dagli anni venti del secolo.
Proprio in questo periodo, le difficoltà di approvvigionamento dei viveri (il pane, ad esempio, che è l’elemento basilare della cultura contadina), la non equa distribuzione dei generi annonari (fattori che rientrano in un quadro generale di crisi) ed il contemporaneo sopravvento di gruppi di potere che agiscono in spregio ad ogni rispetto mascherandosi dietro parvenze di legalità amministrativa, fanno scaturire malcontenti tra la popolazione. Nel febbraio del 1921 scoppia in paese una rivolta che sarà soffocata in un bagno di sangue.
Rivolta di Terranova Sappo Minulio
“Nel febbraio del 1921 la popolazione di Terranova Sappo Minulio s’infiamma ancora una volta (il riferimento è ad analoghe dimostrazioni precedenti avvenute già nel 1917) (…) esplodendo in una serie di rimostranze culminate in una vera e propria sommossa, agghiacciante e sanguinosa, protrattasi per tre giorni (19-20-21)”,
Questa sommossa si inserisce nel più generale periodo di grave crisi che attanaglia non soltanto la società meridionale, sia in relazione al caroviveri che alla mancanza effettiva di pane (e pure di frumento) ma anche in conseguenza di atteggiamenti dispotici di piccole camarille locali che intendono dominare a tutti i costi la cosa pubblica gestendo a proprio piacimento l’ufficio annonario.
La rivolta vede una mobilitazione considerevole di cittadini fatta anche di scontri fisici con le forze dell’ordine, soprattutto con le donne in prima fila a scandire lo slogan: Vivo Re, Viva Regina | Volìmu pani, volìmu farina.
I giornali dell’epoca riportano i resoconti delle tre giornate di Terranova Sappo Minulio (Il Corriere di Calabria, Cronaca di Calabria, La Gazzetta di Messina e delle Calabrie, ‘U Chiaccu). Anche qualche interrogazione parlamentare (l’on. Giuseppe Filesi, in particolare) cerca di far luce sulla realtà e sulle dinamiche dei fatti. L’eco di questi scontri persiste a lungo, anche fuori della Calabria. Così si legge sul Corriere di Calabria del 27 febbraio 1921: “Conte ci telegrafa da Roma: ‘I dolorosi fatti svoltisi a Terranova Sappominulio hanno prodotto viva impressione in questi circoli calabresi. L’on. Filesi, che si preoccupò subito perché il governo provvedesse senza indugio a rimuovere le cause del mal contento, conferì al riguardo col Sottosegretario di Stato all’Interno, on. Corradini, il quale dimostrò di volere agire con solerte energia. Tuttavia l’on. Filesi ha presentato alla Presidenza della Camera la seguente interrogazione: ‘Al Presidente del Consiglio Ministro dell’Interno, sui fatti avvenuti il 20 febbraio 1921 a Terranova Sappominulio, sulle cause che li determinarono e sui provvedimenti adottati'”.
Le tre giornate di Terranova Sappo Minulio si concludono tragicamente per gli abitanti di Terranova, in quanto il sindaco dà ordine ai Reali Carabinieri di sparare sulla folla dimostrante: vengono ferite alcune persone e altre sono arrestate.
L’unione di Terranova, Radicena e Iatrinoli nel macrocomune di “Taurianova”
Nel 1928 Terranova Sappo Minulio per effetto del R.D.L. datato 16 febbraio 1927 (con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale in data 12 marzo ed entrata in vigore il successivo 27 dello stesso mese) viene accorpato a Radicena ed a Iatrinoli per formare il nuovo comune di Taurianova.
Solo il 23 aprile 1946 Terranova Sappo Minulio può riacquistare la propria autonomia amministrativa.
Il legame con i Grimaldi di Monaco
Nel 1523, per consolidare l’alleanza, l’Imperatore Carlo V, che nel sud della penisola italiana regnava in qualità di Re di Napoli, concesse ai Signori di Monaco, i Grimaldi, un certo numero di feudi.
In particolare quella che oggi viene chiamata la “Piana di Gioia Tauro”, e tra questi i territori di Terranova S.M.
(da WIkipedia)
Visite di SAS Il Principe Alberto II
Terranova S.M., calorosa accoglienza ad Alberto II di Monaco
Il sovrano monegasco insignito della cittadinanza onoraria
Nel secondo ed ultimo giorno della sua terza permanenza in Calabria il principe Alberto II di Monaco ha ripreso da Terranova il suo tour per asseverare il legame con i siti storici Grimaldi promossi dalla medesima Associazione scoprendo un cartello commemorativo della sua visita collocato ad ingresso città. Quindi, una lunga passeggiata per le vie del centro terranovese, accompagnato dal cordone di sicurezza e dal calore che la cittadinanza gli ha espresso con strette di mano e sorrisi di benvenuto. In piazza mons. Barreca l’accoglienza più intensa con le autorità civili e militari a rendere omaggio al sovrano monegasco accolto con gli inni di Monaco e di Mameli eseguiti dall’Orchestra giovanile di fiati di Delianuova “Giuseppe Scerra” diretta dal Maestro Gaetano Pisano. Dal palco, il sindaco della città Ettore Tigani ha voluto ripercorrere il legame storico che ha intrecciato la storia della città dal 1574 al 1806 al casato Grimaldi rinsaldando con sentimenti di amicizia e futura collaborazione – in ottica di scambi culturali, enogastronomici e turistici – la gradita visita del sovrano che è stato, per l’occasione, insignito della cittadinanza onoraria ed omaggiato di tipicità del territorio e di un quadro appositamente commissionato al pittore Luciano Tigani. Il principe Alberto ha ricambiato con sentimenti di cordialità l’accoglienza ricevuta dispensando parole di gratitudine per il lavoro svolto dall’Associazione dei siti storici Grimaldi in Italia ma anche in Francia invitando i comuni aderenti alla peculiare reunion organizzata presso il Principato nel giugno del prossimo anno consegnando, a sua volta, al sindaco, una statua raffigurante Francois Grimaldi e una cesta di prodotti del Principato. Una visita – ha poi aggiunto il principe Alberto in un breve scambio di battute con i giornalisti – che non sarà certo l’unica avendone in programma ancora altre. Dopo il protocollo ufficiale, nel quale è stato contemplato un breve passaggio alla prospiciente chiesa di Maria SS. Assunta per ammirarne i contenuti storico-artistici, ad Alberto II è stato offerto un breve concerto del Duo Gazzana presso il palazzo della storia, dell’arte e della cultura a cui è seguito un ricco buffet, realizzato dagli alunni dell’IIS “Einaudi-Alvaro”di Palmi con la supervisione dello chef reggino Filippo Cogliandro, terminato il quale il principe ha ripreso la via alla volta di Seminara dove si è svolta la seconda tappa postmeridiana del suo programma di incontri prima di fare rientro a Monaco. (@Inquietonotizie -Giuseppe Campisi)